Immagine sull'isolamento realizzata da Carlotta Gasparini durante i giorni importanti del Covid-19.

Sono giorni importanti. Lo sentite anche voi?

Per le molte paure che in alcuni si fanno angoscia, e che restano nascoste nel frastuono e per colpa della morbosità di alcuni racconti.

Mia nonna di 94 anni ha paura di morire in questo periodo perché, mi ha detto, “questo è un brutto momento per morire”. E l’ho pensato anch’io, che di anni ne ho meno della metà. Io ho anche paura di morire perché non sono mica pronta a uscire di scena. E perché so che altri, magari più giovani di me, non hanno neppure avuto il tempo di far presente che non erano affatto d’accordo, che non sembrava loro giusto, di ricontrollare meglio.

Qualcuno è angosciato dalle dimensioni microscopiche del virus. La sua apparente invisibilità lo fa sentire braccato. Io questa angoscia non la provo, ma la sento nelle domande che mi vengono rivolte, è la nota che vuole imboccarmi la risposta: “ma è vero che il virus resiste per 9 giorni sulle strade?”, non puoi mica pensare di rispondere sì, nemmeno se fosse vero. E sai che non esiste prova scientifica capace di acquietare quel bisogno di certezza. L’unica risposta sarebbe una cura, una pastiglia o un mix letale per quella entità mostruosa e infida che ha bruciato in un colpo solo tutte le illusioni. Noi uomini moderni nudi come scimpanzé (e forse anche intenti a depilarci la pelliccia).

Per il silenzio di alcuni e per il vociare di molti. Numeri, informazioni, doveri, divieti, farmaci, cure, benefattori e untori, pareri e vaccate mostruose, battute in ritirata e slanci di positività. Anche gli inviti al silenzio fanno rumore, e se il silenzio è assenza fa preoccupare. Ogni cosa sommerge la realtà. Qualcuno l’ha vista? Ha capito che faccia ha? Ride di noi o è un po’ partecipe del nostro dolore?

Per questo presente che ha il sapore di un passato che la maggior parte di noi non ha mai vissuto, e per il futuro che torna a essere incerto, come del resto è sempre stato, anche se abbiamo preferito non tenerne conto. Una vignetta dice che ai nostri nonni hanno chiesto di andare in guerra e a noi chiedono soltanto di stare in casa. Mia nonna dice che non c’azzecca un cazzo (anche se ha usato parole diverse), perché allora c’era chi restava a casa ma magari la sera doveva scappare nei campi col pentolino della minestra in mano se sentiva gli aerei. Volendo poteva nascondersi sotto il tavolo, ma era comunque meno sicuro. No, del doman non c’è certezza ma siamo incerti anche sui concetti del passato.

Per il cinguettio degli uccelli nel prato sotto casa e l’ape idiota che bussava alla finestra. Il profumo della primavera. Io sono qui, nella mia attuale fortuna, e mi consolo della mia inutilità restando a casa, sublimando i desideri di pensare alle vacanze per non sentirmi troppo in colpa con chi sono settimane che lavora giorno e notte e non li distingue più l’uno dall’altra. All’altro estremo della gamma dell’umanità rispetto a chi subisce l’angoscia, ogni giorno prende a cornate il virus invisibile. Che cosa lo muove? Senso del dovere? Speranza? Bisogno testardo di fare il culo al virus che gira con la coroncina comportandosi da re del mondo? Assenza di alternative?

Per tutte le morti improvvise e quelle scampate. Per chi veicola gli ultimi saluti, per chi elabora la propria perdita sul vuoto di una bara chiusa e parcheggiata in attesa. Per chi è tornato a casa e non sa bene come. Me lo immagino spaesato più che traboccante di gioia, intento a calcolare il peso specifico del tempo e a riordinare la lista delle priorità della vita.

Per la vicinanza forzata di alcuni e l’isolamento di altri. C’è chi è a casa con altre persone ma vorrebbe essere altrove e chi è da solo e l’isolamento lo fa uscire pazzo. “Come faranno gli amanti?” chiedeva qualcuno giorni fa. Come fanno gli anziani? Come fanno i separati in casa? E i conviventi felici che sono stati divisi perché la malattia di uno è la condanna dell’altro? L’isolamento come salvezza fisica e minaccia psicologica.

Pochi insegnano a stare soli, a esercitare l’abilità della solitudine, al punto che la parola è sospetta e ormai fraintesa. I solitari in questo isolamento costruiscono mondi, si prendono cura di sé, pensano agli altri, vivono questi giorni importanti, li vedono per quel che sono: ossi buchi. Mangiano il midollo e con gli ossi costruiscono gallerie, li sbriciolano se vogliono vedere com’è fatta la polvere di stelle, li lanciano per giocare al riporto con i loro demoni. E sussurrano che chi non lo sa fare può iniziare a imparare.

[Immagine realizzata da Carlotta Gasparini]

Il testo è entrato a far parte di “CON-TATTO: Antologia di risposta collettiva al Covid-19“. I ricavati di questa antologia andranno in beneficenza alle terapie intensive degli ospedali di Crema e di Cremona.